Sessione n.1 - La Valutazione – prof. Claudio Bezzi
Nuove metodologie della valutazione nelle scienze sociali e loro riflessi sul sistema dell’educazione
Il contributo del prof. Bezzi si è sviluppato intorno a 4 temi centrali del dibattito avvenuto nel forum dedicato alla videolezione in oggetto:
- Efficacia/Efficienza, Formativo/Sommativi
- Emotività razionale
- Valutatore esterno o interno
- La complessità decisionale
Contributo dell’esperto Claudio Bezzi Gli interventi relativi alla mia videolezione, al netto naturalmente di questioni di carattere “ambientale” (malumori, insoddisfazioni, suggerimenti e slanci relativi al mondo della scuola nel suo insieme) delle quali non ho titolo per occuparmi, riguardano alcuni punti interessanti che la brevità della mia relazione video non ha consentito di approfondire.
Efficacia/Efficienza, Formativo/Sommativi
Sono effettivamente questioni centrali della valutazione, ma non insisterei troppo nel dare etichette; specie nei riguardi della valutazione formativa oppure sommativa. Sono questioni importanti per chi vuole studiare la valutazione, capirne la logica, e quindi realizzarla con maggiore cognizione di causa, ma in qualche modo stanno dietro il processo valutativo: il bravo valutatore – secondo me – non annoia i suoi interlocutori con queste distinzioni, ma si indirizza direttamente verso i bisogni espressi, verso le domande valutative, verso i linguaggi e le culture del contesto. Fra l’altro la distinzione fra formativo e sommativo è teorica, e nella pratica si può facilmente vedere che ogni valutazione presenta entrambi gli aspetti.
Emotività e razionalità
Mi ha particolarmente colpito un intervento che parlava della necessità di concentrare lo sguardo sul “contesto emotivo” della scuola, prima (se ho inteso bene) della valutazione. Nell’ambito di un pluralismo che rispetta ogni diverso punto di vista, naturalmente, non credo di essere d’accordo, a meno che non si intenda “emotivo” in un senso metaforico, molto traslato, esteso. L’emotività è il regno quotidiano dove tutti noi agiamo, esprimendo anche molteplici (e assolutamente lecite) valutazioni spontanee, che non necessitano di alcuna particolare argomentazione, possono rimanere su un piano assertivo, e così via. Nessuno pretende che io “dimostri”, o anche semplicemente “argomenti”, perché mai valuto positivamente o negativamente il servizio del ristorante, la qualità del mio lavoro, o la politica del governo, a meno che io non sia, rispettivamente, uno chef, un esperto di ambienti lavorativi, un politico… oppure un valutatore che deve trovare – appunto – argomentazioni comprensibili e verificabili da tutti gli attori sociali implicati. Nel mio lessico personale “emotività” ha a che fare col mio fòro interiore, col mio quadro personologico, e quindi, sostanzialmente, con aspetti ampiamente incomunicabili. L’emotività, evidentemente, è ineliminabile, e non sarò certo io a rifuggirla a favore di una impossibile iper-razionalità o addirittura una inesistente (per me) oggettività valutativa. Ma non può essere programmaticamente invocata nella valutazione.A meno che non si intenda dare spazio ai linguaggi e alle culture, in un’ottica compartecipata e pluralista, per costruire – condividendo le emotività – un sistema che necessariamente deve astrarre un pochino dall’individuo per trovare anche procedure chiare per tutti (tutti gli insegnanti, tutti i fruitori, tutti i dirigenti scolastici…).
Valutatore esterno o interno?
Una questione che torna sempre e sempre. Una delle poche sulle quali mi permetto una certa assertività.Se con “valutazione” si intende un momento di autoriflessione, che serva da sostegno professionale, emotivo, fra colleghi che verificano periodicamente come stanno andando le cose, ovvio che non serve un valutatore esterno, ma al massimo un supervisore (figura nota nei servizi a carattere sociale). Ma questa non è valutazione.Se con valutazione si intende invece un processo di analisi argomentata, finalizzata all’espressione di un giudizio valutativo, mi pare assolutamente fuori da ogni possibile dubbio che deve essere fatta da una persona esterna, e con determinati requisiti di competenza. Le ragioni sono numerose:
- un soggetto parte in causa, che quindi ha da guadagnare o da perdere (fosse pure simbolicamente) dal giudizio valutativo, non è semplicemente credibile, per quanto onesto o in buona fede sia, per quanto appassionato nella sua dichiarata ricerca di onestà valutativa, e così via; una valutazione fatta dagli insegnanti, per esempio, può accontentare gli insegnanti, ma potrebbe essere rigettata dai genitori, dai dirigenti, da altri soggetti, e bollata di partigianeria a priori;
- per quanto gli insegnanti siano ovviamente una categoria sociale colta, informata e competente, non può per ciò stesso presumere di conoscere il metodo della ricerca sociale, e nello specifico di quella valutativa. Ho lavorato non pochi anni nella scuola (anche se non come insegnante) e conosco la passione, l’intelligenza che la scuola esprime, ma ciò non basta a saper fare un questionario (quanti ne ho visti!), non basta a saper gestire un gruppo focus, ma prima ancora non basta a saper costruire un “disegno valutativo”, vale a dire un percorso coerente, affidabile, efficace, che dall’analisi dei problemi del contesto, e attraverso la scelta di strumenti e tecniche, conduca verso un giudizio valutativo argomentato;
- infine la valutazione da parte degli utenti: l’idea che ciò che esprimono gli utenti (o “clienti”, come – ahimé! – vengono ormai chiamati anche nei servizi socio-sanitari) sia di per sé un sufficiente giudizio valutativo è un errore grave, parte di una cultura aziendalista che ancora affascina pericolosamente qualcuno: si sono scritti fiumi d’inchiostro per elencare le molteplici ragioni per le quali gli utenti non sono in grado di essere la pietra di paragone per il giudizio valutativo, e non c’è spazio qui per riepilogare tutte tali ragioni. Attenzione: l’utente non può e non deve essere l’unico soggetto che, con le sue opinioni, stabilisce il giudizio valutativo, ma non significa affatto che le opinioni degli utenti siano da evitare. Il giudizio valutativo dovrebbe essere una composizione critica del punto di vista di tre categorie di soggetti: i) gli utenti, ovviamente; ii) gli operatori scolastici che erogano il servizio; iii) i decisori che lo organizzano, includendo in questa categoria un gruppo probabilmente eterogeneo di figure, che potrebbero andare dal Ministro al dirigente scolastico. Quanto meno i primi due gruppi devono essere inclusi nella valutazione. Sarebbe errato basare tutta la valutazione solo sul giudizio degli utenti, come solo su quello degli insegnanti, o solo su quello dei dirigenti scolastici.
La complessità decisionale
Poiché è stata fatta una domanda specifica su questo punto importante rispondo brevemente: la “decisione” non è necessariamente un atto burocratico. Anzi, direi che in un contesto strettamente burocratico-procedurale non ci sono poi molte decisioni complesse da assumere, al più si tratta di applicare parametri e compilare moduli: questi aspetti li lascio volentieri alla certificazione di qualità, che per sua natura è poco incline all’argomentazione più volte da me invocata.Quando parlo di complessità decisionale intendo il problema relativo a strategie alternative, per esempio fra progetti diversi, di carattere sociale. Strategie che implicano molteplicità di fattori, tanti attori coinvolti semmai con bisogni, istanze e problematiche diverse e contrastanti; effetti desiderati, ma non certi, con effetti anche collaterali, che possono accontentare alcuni e scontentare altri. Sono questi i contesti decisionali in cui opera la valutazione; contesti in cui non vediamo con chiarezza vantaggi e svantaggi, costi e benefici, oneri ed effetti.” Inoltre, vorrei esprimere alcuni considerazioni di carattere trasversale.Ho fatto valutazione, negli ultimi quindici anni, su una molteplicità di questioni e ambiti anche molto differenziati: sanità, servizi sociali, politiche del lavoro, cooperazione internazionale, etc.Sempre (ma proprio sempre!) ci sono problemi di questo tipo:
- diffidenza verso la valutazione, specie se calata dall’alto, specie se fatta da un tecnico esterno. L’obiezione è “sappiamo noi cosa funziona e cosa no”; è un atteggiamento di difesa, a volte corporativo, che affronta con la chiusura una cosa che già dal nome fa paura (chi vuole essere “valutato”? Nella scuola poi, dove la “valutazione” – dell’apprendimento – ha a che fare col giudizio sulla persona, col voto…); questa diffidenza può essere superata solo con un atteggiamento maieutico, partecipato, dove il processo valutativo viene condiviso, spiegato, e dove i vantaggi formativi sono evidenti per tutti;
- diffidenza verso il metodo; fastidio verso le tecniche, sospetto verso il professionista. Devo dire che spesso non sono infondati i dubbi: purtroppo non sono pochi i professionisti improvvisati che si aggrappano al metodo (ovvero a una o due tecniche che conoscono e che ripetono all’infinito a prescindere dal contesto e dai problemi affrontati), e ciò contribuisce ad alimentare una certa cautela, ma bisogna evitare gli atteggiamenti antiscientifici e di scivolare verso l’approssimazione nasometrica in nome di una presunta maggiore libertà da pastoie procedurali e tecnicistiche. Il metodo non è tecnicismo, è ragionamento, riflessione, capacità di lettura dei contesti problematici e capacità di scelta fra molteplici approcci, e questo è garanzia di più solida e condivisibile espressione di un giudizio valutativo;
- disillusione sulle capacità di cambiamento e sulla possibilità di un reale intervento; una generale demotivazione, un’eccessivo arroccamento ideologico, e altre varie questioni tipiche della nostra società possono minare la fiducia verso qualsiasi intervento, e quindi anche verso la valutazione.
Infine la scuola come contesto specifico: ritengo che la valutazione sociale – se così vogliamo chiamarla – ovvero ciò che è stato al centro della mia videolezione, trovi due ostacoli nella scuola: arriva solo ora, con un certo ritardo su molti altri settori dove è piuttosto conosciuta e praticata da anni; e arriva in un contesto dove “valutazione” è in realtà un concetto e una pratica note, ma relativamente alla persona, all’apprendimento individuale, e fra i due tipi di valutazione c’è molta differenza, col rischio che la valutazione dell’apprendimento crei un effetto alone sulla valutazione sociale.Se la scuola riesce a superare questi elementi problematici potrebbe affrontare e vincere una sfida importantissima per la qualità dell’insegnamento italiano, per un maggior radicamento territoriale, per una migliore soddisfazione degli operatori scolastici.
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