LAURENT TAILHADE - Scritti Feroci

LAURENT TAILHADE
SCRITTI FEROCI
(traduzione di Andrea Chersi)

2001
pagg. 87

cover - Scritti feroci
Una raccolta di scritti che danno un'idea del carattere di uno dei più cattivi maestri del giornalismo della Francia di fine Ottocento, tra attentati, repressione e bella vita.

INTRODUZIONE

Laurent Tailhade nacque nel 1854 da buona famiglia borghese della provincia francese. Dapprima affascinato dalle sirene pretesche, fuggì ben presto dal seminario per correre a Parigi e dedicarsi totalmente alla carriera delle lettere, come molti giovani dell’epoca, rivelandosi uno degli spiriti più originali.

Con una ottima cultura classica che si inseriva nel simbolismo derivato da Rimbaud, riuscì ad affermarsi nell’ambiente decadente della Parigi dell’ultimo quarto del secolo XIX. Subito si distinse dai compagni di tendenza per l’impegno sociale, gli impulsi rivoluzionari, l’odio feroce per la borghesia ipocrita e filistea. Carattere individualista, si gettò a capofitto nel giornalismo con potente ed efficace vis polemica, esprimendosi in una lingua purissima dallo stile magnifico che mise al servizio di un feroce anticlericalismo. Scrisse articoli di fuoco sui maggiori giornali anarchici del tempo. Difese Ibsen e Dreyfus.
Pur conducendo in realtà la vita del borghese agiato, ebbe stretti rapporti con i circoli anarchici, in favore dei quali prese posizione più volte, come esteta anti-borghese, ribelle, in nome della bellezza contro ogni conformismo, al punto di finire in carcere. Una volta (per un anno, alla Santé), proprio per l’articolo, qui compreso, scritto in occasione della visita in Francia dell’immondo zar di Russia, in cui incitava e invitava ad ucciderlo.

Il cristianesimo disprezza la carne, ma Tailhade non si mortificava affatto né si privava del piacere di mangiare, considerando la cucina come un annesso dell’estetica, essendo il gusto un valore sia spirituale che sensuale.

È ben nota la sua disavventura, che fu causa di cinica ironia sui giornali e negli ambienti borghesi dell’epoca. Infatti, il 4 aprile 1894, poco tempo dopo aver scritto un articolo su Vaillant, l’anarchico che aveva messo una bomba alla Camera, chiudendo il pezzo con le parole: “che importano le vittime quando il gesto è bello!”, Tailhade perse un occhio a causa della deflagrazione di una bomba (anarchica o poliziesca? o addirittura di Félix Fénéon, come è quasi certo?) gettata nell’esclusivo ristorante Foyot, dove stava cenando.

Laurent Tailhade, addentratosi nel ‘900 comincia ad acquietarsi e a perdere di interesse (per noi, almeno). Muore nel 1919.

L’individualismo, una delle concezioni in cui si articola il movimento anarchico, ha sempre ottenuto il favore degli artisti, per la personalità degli individui che si attribuiscono questa tendenza e per il carattere spettacolare delle loro azioni. Qual è lo scrittore della fine del XIX secolo, pur distante dal movimento libertario, che non abbia evocato in una delle sue opere gli atti compiuti dai sostenitori dell’individualismo? L’individualismo non era comunque obbligatoriamente di tipo libertario: poteva benissimo richiamarsi a un “egoismo assoluto”, che poco ha a che fare con l’anarchismo.

Su un altro piano, i cinici modi da dandy di Laurent Tailhade fanno sorridere. Era un anarchico? Le sue dichiarazioni sono confuse. Forse individualista. Il suo anarchismo non ha nulla in comune con quello dei compagni.

L’anarchismo e l’individualismo professati da Laurent Tailhade sono rappresentativi dello stato d’animo dei giovani intellettuali in un periodo che va approssimativamente dal 1880 alla prima guerra mondiale. La libertà necessaria all’artista era propria degli ideali libertari. Il pensiero non era limitato da dogmi rigorosi, come il patriottismo o la religione. Gli anarchici proclamavano ad alta voce il loro desiderio di emancipazione e numerosi artisti ne gioivano. Non si doveva forse approfittare di questa rivendicazione.

Ma l’anarchismo, secondo questi artisti, è essenzialmente uno stato d’animo e non l’affermazione di una dottrina sociale. La lotta per l’emancipazione dei lavoratori non li interessa se non di sfuggita. Tutte le teorie di rigenerazione sociale si equivalgono, ai loro occhi. L’interpretazione che essi danno dell’anarchismo e il loro giudizio sui gesti di propaganda discendono da una concezione estetica e non politica. Il lato puramente sociale dell’anarchismo non solo non li interessa, ma è oggetto di motteggio.

Il carattere spettacolare degli attentati commessi dagli anarchici non poteva
dispiacergli. Gli autori di questi gesti avevano agito in nome di un ideale.
Nessuno contestava la loro sincerità. Degli scrittori si sentirono in dovere di cantare il loro coraggio e la loro determinazione.

Il caso di Laurent Tailhade illustra questa infatuazione degli intellettuali a favore dell’anarchismo. Ma l’idillio era condannato in partenza, dato che la definizione stessa dell’anarchismo era ambigua, fondandosi sulla nozione di uguaglianza presso i militanti operai e sulla passione della libertà presso gli intellettuali. Gli interessi erano diversi. Dopo la
serie di attentati che colpì Parigi nel 1894-1895, mentre un gran numero di militanti recriminava per la ripercussione che le tesi anarchiche avrebbero da allora in poi avuto tra la popolazione, degli artisti, Tailhade in testa, acclamavano quei “gesti vendicatori” che d’altronde essi non sarebbero stati capaci di realizzare.

In un primo tempo, tutta la giovane generazione letteraria si riconobbe negli attentati individuali di cui divennero i ferventi apologisti. E ne esaltarono la “bellezza”, indipendentemente dalla loro finalità sociale. L’importanza maggiore, se non esclusiva, attribuita al bel gesto in quanto tale ne fece dei sostenitori di una estetica della violenza. Ma la situazione non poteva durare. Nacquero dissensi tra i seguaci dell’anarchismo militante e operaio e i sostenitori dell’anarchismo “estetico”. Una concezione “materialistica”, “alimentare” dell’anarchismo si scontrava contro una concezione molto più “astratta”.