LAMENTO DI GIOBBE ROTHSCHILD, IL CAPITALISTA

LAMENTO DI GIOBBE ROTHSCHILD, IL CAPITALISTA

classi sociali

Capitale, mio Dio e mio padrone, perché m'hai abbandonato? quale sbaglio ho dunque commesso perché tu mi precipiti dalle vette della prosperità e mi schiacci col peso della dura povertà?

Non ho vissuto secondo la tua legge? le mie azioni non sono state rette e legali?
Devo rimproverarmi di non aver mai lavorato? Non mi sono preso tutti i godimenti che mi permettevano i miei milioni e i miei sensi? Non ho tenuto al lavoro, notte e giorno, uomini, donne e bambini finché avevano forza e oltre? Gli ho mai dato qualcosa più di un salario di fame? Mi sono mai lasciato commuovere dalla miseria e dalla disperazione dei miei operai?

Capitale, mio Dio, ho adulterato i prodotti che vendevo, senza curarmi di sapere se avvelenavo i consumatori; ho spogliato dei loro capitali i babbei che si sono fatti infinocchiare dai miei prospetti.

Non ho vissuto che per godere e per arricchirmi; e tu hai benedetto la mia condotta irreprensibile e la mia vita encomiabile concedendomi donne, bambini, cavalli e valletti, i piaceri del corpo e le gioie della vanità.

Ed ecco che ho perso tutto, tutto, e sono diventato un oggetto di scarto!

I miei concorrenti godono della mia rovina e i miei amici mi abbandonano; mi rifiutano perfino i consigli inutili, perfino i rimproveri; mi ignorano. Le mie amanti mi schizzano di fango passando con le carrozze pagate col mio denaro.

La miseria si richiude sopra di me e, come le mura di una prigione, essa mi separa dal resto degli uomini. Sono solo e tutto è nero in me, fuori di me.

Mia moglie, che non ha più denaro per truccarsi e mascherarsi il viso, mi appare in tutta la sua bruttezza. Mio figlio, allevato a non far niente, non capisce neppure la gravità della mia disgrazia, l'idiota! Gli occhi di mia figlia piangono come fontane al pensiero dei matrimoni sfumati.

Ma che cosa sono le disgrazie dei miei a confronto con la mia tragedia? Dove ho comandato da padrone, mi cacciano quando mi offro come impiegato!

Tutto è per me puzzo e immondizia nel mio tugurio; il mio corpo, indolenzito dalla durezza del letto e morsicato dalle cimici e dagli insetti immondi, non ha più riposo, il mio spirito non gusta più il sonno che porta l'oblìo.

Oh! come sono felici i miserabili che non hanno mai conosciuto altro che la povertà e il sudiciume. Ignorano ciò che è delicato, ciò che è buono; la loro pelle ispessita e i loro sensi abbrutiti non provano alcun disgusto.

Perché avermi fatto assaporare la felicità per non lasciarmene che il ricordo, più cocente di un debito al gioco?

Meglio sarebbe stato, o Signore, farmi nascere nella miseria piuttosto che condannarmi a marcirvi dopo avermi cresciuto nella fortuna.

Che posso fare per guadagnarmi il mio misero pane?

Le mie mani, che non hanno portato altro che anelli e che non hanno maneggiato che biglietti di banca, non riescono a tenere un attrezzo. Il mio cervello, che non si è occupato che di sfuggire il lavoro,che di riposarsi dalle fatiche della ricchezza, che di evitare la noia dell'ozio e superare il disgusto della sazietà, non può fornire la somma di attenzione necessaria per copiare delle lettere e sommare le cifre.

Ma, Signore, è possibile che tu colpisca così spietatamente un uomo che non ha mai disubbidito a uno dei tuoi comandamenti?

Ma è sbagliato, è ingiusto, è immorale che io perda i beni che il lavoro degli altri aveva tanto faticosamente ammucchiato per me.

I capitalisti, miei simili, vedendo la mia rovina, sapranno che la tua grazia è capricciosa, che tu la concedi senza motivo e che la ritiri senza causa.

Chi vorrà crederti?

Quale capitalista sarà tanto temerario, tanto insensato da accettare la tua legge, da abbandonarsi all'ozio, ai piaceri e all'inutilità, se l'avvenire è così incerto, così minaccioso, se il vento più leggero che soffia alla Borsa rovescia le fortune meglio radicate, se nulla è stabile, se il ricco di oggi sarà il rovinato di domani?

Gli uomini ti malediranno, Dio-Capitale, contemplando la mia rovina; negheranno la tua potenza calcolando l'altezza della mia caduta, respingeranno i tuoi favori.

Per la tua gloria, rimettimi nella mia posizione perduta, sollevami dalla mia abiezione, perché il mio cuore si gonfia di fiele e di parole d'odio e le imprecazioni si affollano sulle mie labbra.

Dio feroce, Dio cieco, Dio stupido, stai attento che i ricchi non aprano finalmente gli occhi e non si accorgano che camminano incuranti e incoscienti sull'orlo del precipizio; attento che non ci gettino dentro te per riempirlo, che non si uniscano ai comunisti per sopprimerti!

Ma che bestemmia ho pronunciato! Dio potente, perdonami queste parole imprudenti e empie.

Tu sei il padrone che distribuisce i beni senza che li si meriti e che se li riprende senza che li si demeriti, tu agisci secondo il tuo piacere, tu sai ciò che fai.

Tu mi schiacci per il mio bene, mi metti alla prova nel mio interesse.

O Dio dolce a amorevole, rendimi i tuoi favori: tu sei la giustizia e, se mi schiacci, devo aver commesso qualche sbaglio che non conosco.

O Signore, se mi restituisci la ricchezza, faccio voto di seguire più rigorosamente la tua legge. Sfrutterò meglio e di più i salariati; imbroglierò con più astuzia i consumatori e deruberò con maggior decisione i babbei.

Io ti sono sottomesso, come il cane al padrone che lo picchia, io sono la tua cosa, che il tuo volere si compia.

Per copia conforme:

PAUL LAFARGUE